Alberto “Poto” Del Sarto è uno dei “fratelli” di Radio West (si veda la sua scheda nella sezione West People). Lo ricordiamo per la fondazione di due storiche birrerie di Alessandria degli anni ’80: prima il Roxy, poi il Time Out insieme alla moglie Daniela (un approfondimento in questa pagina). E, in quanto a noi, per il suo ruolo di co-organizzatore di tutte le edizioni del RocktoberFest. Poto ha raccontato queste vicende in una lunga intervista a Radio Gold del 21 aprile 2021, in cui ha rievocato la nascita dei due locali, il profondo rapporto con Radio West e la scena giovanile di quegli anni.
In questo post emerge, oltre alla sua passione per la musica, anche quella per la scrittura, in particolare per i romanzi gialli. Poto nel 2017 ha pubblicato tre titoli per le edizioni Kindle: Il caso Fuentes, Parakalò e Fiondi Time, sempre con protagonista uno sgangherato detective alessandrino, Alberto Lunardini. Il personaggio ritorna nel racconto inedito che proponiamo qui di seguito. È ambientato nel contesto del Live Aid, il doppio concerto con fini umanitari organizzato da Bob Geldof nel 1985, che portò sui palchi di Londra e Filadelfia una serie irripetibile di star dell’epoca.
- 2023
- Alberto "Poto" Del Sarto
I personaggi che compaiono in questo racconto sono stati appositamente romanzati e quindi non hanno un fondamento reale, né nelle azioni tanto meno nelle dichiarazioni.
PROLOGO – AL, solo AL, come la targa della città dove è nato o come le prime lettere del suo nome. Tutti da banotti avevano uno stradinom, un soprannome: chi “Minchia”, chi “Zabov”, chi “Il Padrino”, chi “Poto”… Il suo era il più semplice da pronunciare e da scrivere sui muri: la prima e la decima lettera dell’alfabeto. Il cognome: quello della mamma, Lunardini, perché il papà non l’aveva mai conosciuto. Alberto “AL” Lunardini, dell’agenzia investigativa LUNARDINI & CO.
«I vivi sono coricati accanto ai morti sulla terra battuta o sul cemento, la carestia non è rispettosa. Un mucchietto di ossa e di pelle secca, due occhi umidi, mosche e merda. Otto settimane fa, la CEE ha buttato via trenta milioni di franchi, distruggendo due milioni di tonnellate di frutta e verdura. La vergogna, la vergogna, la vergogna».
Questa la denuncia di Robert Frederick Zenon Geldof, noto come Bob Geldof, modesto cantante irlandese del gruppo dei Boomtown Rats e attore protagonista nel ruolo di Pink, nel film The Wall. «Era come inghiottire lame di rasoio, ti lacerano le pareti dello stomaco, poi ti passano attraverso il corpo, portandosi dietro gli intestini». L’idea era di aiutare in qualche modo i popoli dell’Africa, che in quel periodo dell’anno subivano un’ulteriore tragedia, quella di una devastante carestia. E dopo Do They Know It’s Christmas?, USA for Africa e We Are the World, nacquero per volontà di Bob il Jukebox totale, Feed the World e Live Aid.
Nell’ufficio della Lunardini Investigazioni arrivò una telefonata. Data l’assenza del titolare, rispose Luigino, l’assistente tuttofare. «Pronto, pronto: è lo studio Lunardini?». «Sì, chi parla?». «Sono Guido, sei Alberto?». «No, il signor Lunardini non è in ufficio. Sono il suo assistente, può dire pure a me». «È una situazione urgente, ho bisogno di comunicare subito con Alberto, in questo momento sono a Linate e sto partendo per Londra. Sono stato ingaggiato per il Corriere della Sera per un servizio fotografico molto importante ed avevo bisogno del suo aiuto». «Il signor Lunardini in questo momento è dalla sua fidanzata in Inghilterra. Credo che non sia nella capitale: avevano programmato una piccola vacanza, però non so dove». «Le sarei molto grato se mi desse i recapiti di Londra, vorrei provare a contattarlo». Luigino, considerate le referenze che il signor Guido aveva sciorinato, diede il numero di telefono e l’indirizzo dell’appartamento di Darcey in North Row.
ll Pub Cittie of York in High Holborn era zeppo di avventori. Era l’ora di punta, quando nella pausa di lavoro della City si riempiva di persone assetate delle deliziose birre dello Yorkshire. AL in compagnia con gli habitué del locale era già all’ennesima pinta. «E pensate che la mia fidanzata mi vuole portare una settimana al mare! Io le ho detto “Ma quella distesa grigia di acqua la vuoi chiamare mare? Piuttosto preferisco andare nella calca in Liguria a Spotorno: almeno lì non ci sono i ghiaccioli e quel vento insopportabile! E poi se piove?”». «Guarda che a Brighton ci sono i migliori pub della costa, i migliori fish and chips che puoi mangiare nella zona e c’è anche il Pavillon sul Pier con tutte le giostre!». «Passi per i pub, ma chi se ne frega di quei pesci e di quel baraccone!».
In quell’istante all’ingresso apparve Darcey, che iniziò a scrutare all’interno cercando di individuare il suo uomo. «Hey! La tua donna viene a prenderti! Mi sembra Flo quando va a recuperare Andy Capp, secondo me ti conviene nasconderti!». AL cercò invano di ripararsi in uno dei separé del locale, ma la sua fidanzata lo vide con la coda dell’occhio e marciò decisa verso di lui. «Cosa stai facendo? Credi che non ti abbia visto? Sei un ubriacone! Su andiamo!». A mala voglia e accompagnato dai fischi e dalle risate degli “amici”, AL dovette seguire Darcey fuori del pub. «Sei proprio un cretino! Dobbiamo partire oggi pomeriggio, il treno da Victoria Station è alle cinque in punto, cosa pensavi? Di sbronzarti tutta la mattina?». «Ma no cara, era la prima pinta!».
Presero la metropolitana e poco dopo, mentre entravano nell’appartamentino in North Row, suonò il telefono. «Hallo… Mirabelli House, chi parla?». Darcey attendeva una chiamata del suo manager, che doveva comunicarle le prossime date di una tournée in Scozia. «Pronto, sono Guido Harari, un amico di Alberto, è in casa?». «Cosa desidera? E chi le ha dato questo numero?». Il signor Guido spiegò che aveva chiamato in Alessandria, che il numero gliel’aveva fornito il signor Luigi Grassano e che si trattava di un’urgenza. Darcey impettita passò la comunicazione al fidanzato, conscia che il lavoro veniva prima di tutto… Col timore di perdere il treno per la vacanza, ascoltò la conversazione e a poco a poco intuì che le brevi ferie erano finite ancor prima d’iniziare. Quando AL attaccò la cornetta.
«E allora?». «Abbi pazienza tesoro». «Quando cominci con le smancerie, sta a significare che anche questa volta non si parte! Ma adesso mi rimborsi i biglietti del treno e dell’albergo!». «Darcey, sai che il lavoro… prima di tutto. E poi questo è un mio caro amico, non posso rifiutare, ma la notizia è che non dovrò rimborsarti un bel niente». «Ah sì! Sei proprio un ingrato!». «Lasciami spiegare invece: una settimana potremo fare solo quattro giorni, quindi non perderemo i soldi per il treno e per l’albergo, Guido ci rimborserà i giorni rimanenti. Sono stato ingaggiato per fargli da bodyguard e per assisterlo in un grande evento che si svolgerà allo stadio di Wembley, proprio qui a Londra, e tu avrai i pass e un posto in prima fila».
Darcey rizzò le orecchie e di colpo si incuriosì, rimanendo sempre dubbiosa. «Lo sai che non mi interessa il calcio, ma se fosse il rugby?». «Ma che calcio e rugby! Guido parla del più grande concerto di pop-rock mai avvenuto in Inghilterra e forse nel mondo! Dice che sarà un evento storico, un concerto doppio in contemporanea con gli Stati Uniti, con star del calibro di Status Quo, Queen, Who!!!». «Mi stai prendendo per il culo! Gli Who si sono sciolti… Cosa mi vuoi nascondere? Che razza di concerto è questo?». «Non voglio nasconderti nulla! Un tipo che non ho mai sentito, che si chiama Bob Geldof…». «Bob Geldof?!? Non lo conosci? Ma da dove arrivi, dalla luna? Quello ha scritto con Midge Ure degli Ultravox Do They Know It’s Christmas?. Hanno fatto cantare a chiunque quel pezzo, è nelle hit da dicembre! E mi vuoi far credere che faranno un concerto?». «Sì, a Wembley, e ci saranno anche Paul McCartney e gli U2! E a Filadelfia al JFK Stadium, i Rolling Stones e tanti altri! Tutto questo per mandare fondi all’Etiopia!». «Non è possibile, non ci credo…».
Darcey era al settimo cielo: pass per il concerto del secolo, in prima fila! In uno slancio di entusiasmo abbracciò il suo uomo come se gli avesse fatto il regalo più grande da quando si conoscevano. «No! Non possiamo andarcene proprio adesso: devo prepararmi psicologicamente all’evento. E poi cosa mi metto? Devo rifarmi il guardaroba! Questa storia degli Who non mi torna… Ma sei sicuro?». AL disse che Guido gli aveva accennato al volo quello che stava succedendo, di rendersi disponibile per circa una settimana. Si stava informando dall’organizzazione chi effettivamente avrebbe partecipato al grande concerto. Doveva fare un servizio per il Corriere della Sera e per alcuni settimanali e mensili di musica italiani. Aveva bisogno di una persona di fiducia che gli coordinasse la security e gli desse una mano. «Potremmo ospitarlo da noi. L’appartamento è piccolo ma abbiamo una stanza per gli ospiti, se si accontenta». «Dice che gli hanno già affittato un grande appartamento vicino allo stadio. Deve fare, oltre alle foto, se possibile, delle interviste e ha bisogno di spazio. E possiamo trasferirci anche noi lì, saremo più comodi per gli spostamenti». Darcey era in trance. Delle interviste! Avrebbe potuto conoscere i suoi idoli!
Incontrarono Guido al Parish Pub su Wembley Park Boulevard, a pochi isolati dall’appartamento affittato. «Finalmente! È un piacere incontrarvi, suppongo che tu sia Darcey, complimenti signorina, sono Guido. AL, vedo che non hai perso il tuo fine senso estetico! Vado a prendervi da bere, cosa posso offrirvi?». «Il piacere è tutto mio, io prendo una pinta di lager e se non sbaglio AL prende una bitter ale…». Bevendo nel locale affollato, Guido spiegò com’era stato ingaggiato e parlò a perdifiato dell’evento che considerava il più importante concerto mai concepito finora. «E pensate che hanno organizzato un volo con il Concorde, in modo che qualcuno che si esibirà qui a Wembley dopo poche ore sarà sul palco a Filadelfia! Incredibile! Ho parlato con uno dei manager, non ancora con Bob Geldof, che mi ha già dato gli accrediti per l’evento. Avverrà tra dieci giorni. La mia segretaria è in contatto con i vari manager dei cantanti per le interviste via radio. Io farò le foto al concerto e nell’appartamento». Guido era un fiume in piena, AL e soprattutto Darcey lo guardavano meravigliati.
«Senti Guido: e il mio compito quale sarà?». «Mi dovrai proteggere e assicurarti che l’attrezzatura non vada persa, non ho voluto portare altre persone dall’Italia: ho pensato che in due saremo più snelli ed efficaci. Nell’appartamento lavorerò, mentre intervisto, con una camera fissa con l’autoscatto e registrerò il tutto con un Dat portatile. La tua ragazza potrà darci una mano con le richieste dei big e per le varie ed eventuali. Domani incontreremo Midge Ure per stilare una scaletta e poi sarà tutto work in progress. Speriamo di avere la possibilità di incontrare più star possibili: ho saputo che ci sono centinaia di giornalisti e fotografi accreditati, sarà un casino pazzesco!». Darcey era elettrizzata da quello che poteva succedere, si sentiva come una giovane groupie al suo primo concerto.
«Ah, scusate non vi ho parlato ancora della diaria, sono mille sterline al giorno, più alloggio e i pasti. Se vi va bene, starete da me nell’appartamento, tanto ha tre camere da letto, ma se ci sono problemi ho già in alternativa un hotel vicino». Darcey quasi gridò che andava benissimo e se Guido non aveva nulla in contrario poteva portare una sua amica per cucinare e riassettare il tutto. «Com’è, carina? Come te? Scusa…». «È una modella che lavora in un’agenzia qui a Londra. È in gamba ed è uno splendore, il che non guasta!». «Affare fatto! come si chiama?». «Elizabeth Jane. Ah… volevo dirti: ha i capelli rosa e un po’ di piercing, ma è regolare!».
Si stabilirono nell’appartamento in un grattacielo che dall’alto dominava lo stadio di Wembley, i roadie crew stavano già approntando l’enorme palco dove campeggiava la scritta Feed The World e Live Aid, con l’enorme immagine di una chitarra il cui manico si fondeva nella cassa, a figura della carta geografica stilizzata dell’Africa. La prima persona che si presentò a un aperitivo nell’appartamento di Guido fu Bob Geldof con due sconvolti colleghi dei Boomtown Rats. Darcey era andata nel suo appartamento a North Row a prendere dei vestiti, Elizabeth Jane andò ad aprire la porta, Guido stava preparando le macchine fotografiche, mentre AL era in bagno. Bob entro nell’appartamento trafelato, armeggiava con una specie di telefono senza fili allacciato ad uno scatolotto nero: era un Vodafone VT1 Transportable. «Scusa, posso attaccarmi alla presa di corrente? Questo telefono si scarica sempre… Sì, sì, va bene, Ma no! Non è possibile! Come? Non si sente un cazzo! Sì, ti ho detto che viene Phil… Con il Concorde… Sì va bene… Scusa Guido, ma dobbiamo fare un’altra volta! È un casino! Devo andare. Ti lascio qui i miei soci, parla con loro, poi ci sentiamo dopo, ti lascio il numero di questo telefono, chiamami quando vuoi, ma devo andare c’è un imprevisto!». Guido prese in mano la Leica che stava caricando e scattò a ripetizione delle foto di Bob che telefonava con quella specie di scatola. Mentre usciva dalla stanza Geldof si girò. «Prima di pubblicare qualsiasi foto devi avere il mio consenso, ricordati!». Baciò Elizabeth e uscì.
AL rientrò nella sala dal bagno e vide la scena di Guido che scattava a ripetizione le foto, mentre l’organizzatore del concerto usciva dall’appartamento baciando la hostess. «Che succede? Chi è quello?». «Niente… Intervista rimandata». Rivolto ai due Boomtown Rats. «E voi che fate? Rimanete?». « C’hai una birra? È tutto il giorno che giriamo come delle trottole dietro a Bob che parla con quella specie di telefono… E hai mica dei tramezzini? È da stamattina che non mettiamo niente sotto i denti!».
Suonarono alla porta, Elizabeth Jane andò ad aprire ed entrarono Paul Weller degli Style Council e Marco Pirroni con Adam Ant. Poco dopo AL dovette telefonare al pub vicino e far arrivare delle vettovaglie, soprattutto birre e panini. Darcey arrivò all’appartamento mentre oltre alle interviste e alle foto c’era letteralmente un party in corso, un via vai di gente, manager e stars. Su un divano vide Linda McCartney e Paul Young, e davanti alla macchina fotografica Bryan Ferry. Ebbe un mancamento… Vide AL che serviva delle birre a Pete Townshend e a David Evans “The Edge”.
«Ah… meno male che sei arrivata! Questi mangiano e bevono come dei matti, soprattutto bevono e fumano! Mi tocca fare il cameriere!». «Forse non hai presente con chi hai a che fare! Io la cameriera a questi la farei tutta la vita!». «Be’, io non li conosco, sono tutti gentili, si sono presentati, il più simpatico è quello lì… Pete!». «Dai presentameli!». «Non c’è tempo adesso, vai giù al pub e prendi ancora birre e tramezzini! E stai attenta: c’è già un capannello di gente che vorrebbe entrare nell’appartamento, ho dovuto chiamare una security esterna per fare da filtro». «E ci credo! Stavano per non far entrare anche me!». Guido scattava foto a ripetizione come in trance: sebbene avesse esperienza con gli artisti, si trovava per la prima volta alle prese con una concentrazione pazzesca di idoli della British invasion.
Darcey incrociò lo sguardo con Bryan Ferry, che gli si avvicinò con eleganza. «Ciao, sei di Newcastle? Assomigli ad una mia compagna dell’Accademia di Belle Arti…». Darcey era al settimo cielo, sfoggiò tutto il suo savoir faire, mentre Bryan le faceva il baciamano. «No, sono qui di Londra, forse ci siamo visti in qualche party!». «Che fai esci? Posso accompagnarti?». «Se devi tornare puoi aiutarmi, vado a prendere dei generi di conforto». Il primo giorno di lavoro fu decisamente impegnativo, Darcey si mangiava le mani per aver risposto così a un suo “idolo”, che l’aveva abbandonata appena scesi in strada, salendo sulla sua Morgan e scomparendo all’orizzonte. AL era stravolto come Guido: l’uno per aver cercato di servire e contenere gli esuberanti ospiti, l’altro per aver fatto numerose interviste e scattato fotografie a raffica.
La mattina successiva, dopo una notte tranquilla, ricominciò alla grande appena dopo il breakfast. La security sotto casa ebbe il suo daffare quando Elton John e George Michael arrivarono in strada sotto l’appartamento ormai presidiato dai fans. Si scatenarono letteralmente quando Bono Vox e David Bowie si presentarono all’ingresso del palazzo. Guido subito dopo aver preso un caffè era già alla sua postazione, Darcey ed Elizabeth si davano da fare per accogliere le nuove stars. «Ma ci pensi Alberto? Oggi arriva David Bowie! Sono presentabile? La mia acconciatura è a posto?». «Ma quante storie! Capisco la tua eccitazione: anch’io sono preoccupato per accogliere due personaggi come Elton John e David Bowie. Ma chi sono gli altri due? Non li ho mai sentiti?». «Sei proprio fuori! Sono due idoli in questo momento, qui a Londra: Bono ha una voce clamorosa e George è un re per tutti i teenager!».
Il responsabile della security esterna arrivò trafelato nell’appartamento e prese da parte AL. «Mister, qui le cose si mettono male… Non riusciamo a contenere i fans e poi è successa una cosa gravissima! Abbiamo sequestrato un’arma a un ragazzo di colore che si confondeva nella folla. L’abbiamo impacchettato e rinchiuso in un box qui sotto. Voglio che lei lo veda prima di consegnarlo alle autorità: blaterava delle oscenità, siamo preoccupati che abbia dei complici! Scenda subito con me!». AL, accompagnato dal vice-capo della sicurezza, si calò giù dalle scale come un fulmine e dopo poco era alla presenza del delinquente. «Allora, che volevi fare con quell’arma? Cerca di rispondermi velocemente, se no prima di darti in pasto alla polizia ti lascio nelle mani dei miei e ti assicuro che ti faranno passare la voglia di fare il furbo!». «Michael Bailey verrà vendicato! E Bowie, che è nato nel nostro quartiere, la pagherà!». «Ma chi cazzo è Michel Bailey?». Il vice capo della security spiegò ad AL che era una vecchia storia legata a una rivolta scoppiata a Brixton, il quartiere nero a sud della città, tra la polizia e i dimostranti afro-caraibici. Ci era scappato il morto… proprio quel Bailey. «E che c’entra Bowie?». «David Bowie è nato proprio vicino a Brixton Road e dato che lo chiamano Il Duca Bianco, forse il folle ce l’ha con lui. Senza ragione, dato che la star è sempre stata vicina alla gente del suo quartiere». In ogni caso AL volle che i controlli fossero più intensi e le maglie della sicurezza utilizzassero delle transenne per tenere i fans il più lontano possibile dall’entrata del condominio. «E consegnate alla polizia questo cretino, non prima di sapere se ha degli amici che vogliano fare gli eroi e farci andare sulle prime pagine dei giornali!».
Nell’appartamento la notizia del presunto attentatore agitò i guardaspalle degli artisti, che annullarono le interviste e le foto. Guido chiese spiegazioni ad AL che era tornato al piano. «Cosa succede? Cos’è questa storia dell’attentato?». AL lo mise al corrente del fatto cercando di minimizzare l’accaduto. «Ma niente… Un pivello con una scacciacani, i miei l’hanno bloccato, niente di più». «Sì, ma se la voce si sparge non verrà più nessuno… finiranno le interviste. Bisogna subito avvertire l’organizzazione!». Darcey era quasi in lacrime: ad un passo dal conoscere tutti quei mitici personaggi, non si dava pace. «Ma davvero non vengono più?». AL pensò che la cosa più immediata da fare era quella di parlare con Bob Geldof e riorganizzare la sicurezza generale. Non potevano rischiare di compromettere l’intera manifestazione.
In un ufficio del Wembley Stadium fu indetta una riunione generale dopo il fatto increscioso successo sotto l’appartamento di Guido. I Boomtown Rats continuavano a passarsi un cilum indiano inondando la sala di un fumo acre e pungente. Midge Ure parlottava con un responsabile della polizia locale che si trovava in una situazione imbarazzante, avvolto dal fumo del gruppo di Bob Geldof. Per il momento l’organizzatore principe della manifestazione era assente, aveva dato un appuntamento vago, dato i numerosi impegni nella giornata. Guido era decisamente preoccupato al punto di disdire l’affitto dell’appartamento per trasferirsi in un albergo nelle vicinanze. Darcey aveva dovuto dare il ben servito ad Elizabeth e tornare a North Row con tutti i bagagli dei vestiti che si era portata appresso. AL era quasi sicuro che il suo compito sarebbe terminato a breve, con esso l’ottima diaria promessa. Non aveva l’intenzione di partecipare all’evento, vista l’enorme responsabilità di controllare una folla di migliaia di persone.
Bob Geldof apparve sulla soglia dell’ufficio sempre spettinato e ansimante come se avesse percorso la maratona di New York, con appiccicata all’orecchio la cornetta di quel buffo telefono portatile. «Il tempo è tiranno! Non ci restano che pochi giorni per assicurarci che tutto fili liscio. Hanno aderito altri artisti e la scaletta è arrivata a circa sedici ore di spettacolo… Una follia! A Filadelfia hanno finito di costruire il palco, che è costato una fortuna! La nota positiva è che saremo collegati con il novantacinque per cento delle televisioni e radio di tutto il mondo! Ci vedranno e ascolteranno… miliardi di persone!». La preoccupazione di AL salì all’ennesimo grado e diventò angoscia quando Bob ricominciò a parlare. «Il primo ministro Margaret Thatcher ha messo a disposizione tutti gli agenti di cui abbiamo bisogno per tre giorni prima della manifestazione, per tutta la durata del concerto e per i due giorni successivi. Il Principe Charles e la Principessa Diana vogliono partecipare in prima persona, quindi abbiamo deciso che il capo della Met, la polizia di Londra qui presente, coordinerà tutta la sicurezza da questo momento per tutto l’evento. Mister Lunardini con i suoi collaboratori, che hanno sventato l’aggressione di stamattina, saranno alla diretta dipendenza di Scotland Yard e dei Reali».
AL era imbarazzato. Si sentiva addosso tutti gli occhi dei presenti. Non aveva capito tutto il discorso in quello slang irlandese di Bob, ma aveva compreso bene: era addirittura al servizio di Sua Maestà e dei suoi rampolli… e di Scotland Yard. Come Bond… James Bond.
Suonò il campanello nel piccolo appartamento di North Row e Darcey, guardando dallo spioncino, com’era solita fare, vide AL che a stento si reggeva sulle gambe. «Fai veramente schifo! Ti avranno licenziato come prevedevo e hai iniziato a spendere la diaria guadagnata in quel “tuo” pub preferito. Voglio comunicarti che ho già telefonato al mio manager e mi sono messa a disposizione per una tournée… Una lunga tournée». «Non ho bevuto una sola goccia di birra se vuoi sapere!». «E com’è che sei ridotto in questo stato?». «Sono stati quei cretini dei Boomtown Rats che hanno voluto a tutti costi passarmi una pipa nera, come un tubo da stufa…». «Ah bene, anche drogato!». «Scusa, è stato per festeggiare!». «E a cosa si deve questo festeggiamento?». «Adesso vorrei dormire un pochino… Dopo ti spiego». Darcey inviperita sbatté con forza la porta lasciando fuori il suo fidanzato sulla strada. Il campanello trillò nuovamente. Senza aprire la porta, Darcey strillò ad AL che poteva andare a dormire con i suoi “amici”, ma la spalancò quando vide dallo spioncino due marcantoni vestiti di nero che sorreggevano il suo fidanzato ormai svenuto. «Lasciatelo subito stare! Come vi permettete!». «Ci scusi Lady, siamo davvero dispiaciuti, ma il qui presente signor Lunardini ci ha pregato di venirvi a prendere. Penso che prima dovrà farsi una doccia fredda per svegliarsi, tra meno di un’ora siete convocati a Corte!».
Darcey strabuzzò gli occhi, aveva sentito bene? «Convocati a corte? A che scherzo state giocando? E chi siete?». «Ci scusi nuovamente, ma siamo in ritardo, siamo agenti di Scotland Yard e non stiamo scherzando: fra tre quarti d’ora dovete essere a Kensington House per un the con i Principi Charles e Diana, si prepari per favore!». Darcey era paralizzata dallo stupore, cercò di rispondere, ma le uscì solo un balbettio. «Vest…iti… Cooo…sa mi meee…tto…». «Signorina, mentre portiamo il suo fidanzato sotto la doccia, ci siamo permessi di prendere qualcosa della sua taglia, non è un incontro ufficiale, ma è meglio che indossi questi!». Fornirono Darcey di una mise classica, come si adduceva ad un incontro informale. «Un tailleur? E queste scarpe?». «Si vesta per favore, la attenderemo nell’atrio». Furono tradotti su una Bentley Limousine nera, Darcey imbarazzata e completamente in trance, AL ancora decisamente sconvolto. «Beva questo, signor Lunardini, la metterà a posto!».
Arrivarono a Kensington Palace pochi minuti prima delle cinque di sera, in tempo per il the. I maggiordomi presero in consegna la coppia e il maître della casa suggerì il comportamento adeguato che dovevano rispettare. «Il Principe Charles e la sua consorte hanno desiderato questo incontro informale, ma è probabile che tra pochi istanti ci raggiunga anche Sua Altezza Reale: non è ancora confermato, nel caso che avvenga dovete rispettare i convenevoli tradizionali». AL era confuso, anche se ormai lucido, grazie alla bevanda che gli avevano fatto ingurgitare gli agenti. Darcey era come nel limbo, ascoltava le direttive del maître come se fosse in un contesto ovattato, le parole le arrivavano attenuate. Stentava a credere di essere in quella situazione, viveva il tutto come in un sogno.
La Principessa Diana entrò per prima nella sala e si presentò affabile, accogliendoli con un sorriso, come se fossero degli ospiti abituali. «È veramente un piacere conoscervi, prego accomodatevi, tra poco arriverà William. È un po’ triste, crede che il suo piccolo fratellino Henry gli abbia preso il posto… sarà contento di conoscervi, ecco mio marito!». Il Principe di Galles entrò tenendo per mano il piccolo Duca di Cambridge, che si sfilò dal padre saltando decisamente in braccio a Darcey. «Scusate è molto vivace per la sua età. Su vieni qui, lascia tranquilli i nostri ospiti…». Il pomeriggio trascorse sorseggiando the e assaporando deliziosi scones. «Sai Darcey, questi ce li fornisce lo chef del Fortnum and Mason. Ne ho assaggiati tanti, ma quelli che preparano lì sono i migliori, che ne pensi?». «Sua Altezza ha proprio ragione, anch’io quando voglio i migliori scones vado sempre nella loro sala da the». «Ma basta con questa Altezza, chiamami Diana».
Charles discorreva con AL pacatamente, tenendo in braccio il piccolo William e cercando di contenere l’esuberanza del figlioletto. «Il signor Bob Geldof mi ha parlato molto bene di lei e mi ha consigliato di affidarle il coordinamento della nostra security al concerto». «È un onore essere al suo servizio, cercherò di essere all’altezza di Sua Altezza!». Darcey e Diana alla gaffe di AL si girarono divertite, come se fossero due amiche di lunga data. «Sai… non ha ancora bene dimestichezza con la lingua, dovete perdonarlo!». Charles obbiettò che il suo ospite si esprimeva perfettamente e sapeva che le sue origini erano di un paese che lui amava profondamente: la Toscana, patria della lingua italiana. «Vivrei volentieri in quella terra, ho molti ricordi e appena posso ci torno con piacere. Anzi, Diana, la prossima volta dobbiamo farci accompagnare dal signor Lunardini: sicuramente ci potrà far conoscere la vera essenza di quel magico territorio». «Con piacere, sono a vostra disposizione, i miei sono di un piccolo paese tra Lucca e Firenze, Montecarlo, dovreste visitarlo, se non l’avete già fatto!». «Io sono stato più volte a Firenze e a Siena e nei dintorni, mai a Lucca e tantomeno nel paese dei suoi genitori». AL si dilungò descrivendo il terreno della sua infanzia, soffermandosi sulle bellezze dei dintorni. «E Collodi! Il paese di Pinocchio, dovreste portarci i vostri piccoli, un’esperienza indimenticabile, con i suoi giardini e le sue storie legate al famoso racconto… e i vini della zona, i fiori delle serre di Pescia, il pane di Altopascio. Ho un amico ad Orentano: lo chiamano il Re della Pizza, la fa buona quasi come quella di Napoli!». «Ah l’Italia, che Paese meraviglioso!».
Alla sera, quando AL e Darcey tornarono nell’appartamento di North Row, erano ancora increduli dell’esperienza vissuta, soprattutto quando… The Queen era giunta a Kensington Palace. La situazione era diventata molto più formale, anche se si era intrattenuta pochi istanti. AL aveva perso la diaria del suo amico fotografo, ma si ritrovava ad averne una molto più consistente, dato l’impegno decisamente importante e impegnativo.
La mattina successiva, a tre giorni dal concerto, a Scotland Yard si era approntato un ufficio per l’evento al Wembley Stadium. AL aveva selezionato una squadra di agenti, consigliato dal capo della sicurezza: ben cinquanta persone tra la tribuna delle autorità, autisti, tiratori scelti e teste di cuoio. Il Principe di Galles e la consorte avrebbero partecipato, nella zona riservata in tribuna, ma non a tutta la durata del concerto: la presenza era limitata solo alle ore diurne, mentre dal crepuscolo alla fine dello spettacolo era stata approntata una sala blindata all’interno, con schermi video adeguati.
Alcuni mesi prima, i dottori di Médecins Sans Frontières, dopo il successo delle donazioni della canzone Do They Know It’s Christmas? – che accumulò ben nove milioni di dollari – avevano implorato l’organizzazione di Band Aid e Bob Geldof di non rilasciare denaro e soccorsi finché non ci fosse una struttura affidabile per portare beneficio direttamente alle vittime. Lo stesso denaro serviva per stanziare Live Aid e iniziare a spedire cibo e medicine in Etiopia, che purtroppo subivano ritardi: la guerra, le strade e l’avidità del governo, lo rendevano impossibile, al punto che centinaia di migliaia di tonnellate di cibo marcivano sulle banchine dei porti. Nello stesso momento il governo aveva bloccato e confiscato una flotta di camion di seconda mano, acquistata e riparata in Sudan dalla Band Aid Trust, che aveva portato fino a 100.000 tonnellate di cibo, pagando il proprio esercito in grano e scambiando il resto con armi.
Il giorno del concerto, a mezzogiorno in punto, AL dal parterre si accingeva ad entrare nello stadio con i Principi di Galles. Bob Geldof era decisamente teso, avendo visto in anticipo l’enorme massa di gente stipata nello stadio. Le Coldstrem Guard intonarono il Royal Salute e in seguito l’inno inglese dette inizio alla kermesse.
Gli Status Quo ruppero il ghiaccio. La folla era ormai così accaldata che decine e decine di persone erano state soccorse con lanci di acqua… Poi gli Style Council, idoli locali, e Adam Ant con Vive Le Rock. I Boomtown Rats, insieme al cantante organizzatore del concerto Bob Geldof, proseguirono con I Don’t Like Mondays fino alla video performance da Melbourne degli INXS.
Diana, la Principessa del Galles, guardava estasiata le performance degli artisti, voltandosi a tratti e rimanendo impressionata dal muro di folla presente allo stadio.
Ritornando sul palco di Londra, gli Ultravox di Midge Ure, co-organizzatore del concerto, anticiparono il video della registrazione dei Loudness dal Giappone. Poco dopo il popolo del Wembley Stadium esplose per il sound degli Spandau Ballet, idoli del momento. Dagli schermi giganti Bernard Watson aprì le danze al JFK di Philadelfia, seguito da Joan Baez, presentata da Jack Nicholson, che intonando Amazing Grace ricordò il concerto di Woodstock. Elvis Costello da Wembley iniziò, solamente con la sua chitarra, All You Need Is Love dei Beatles, presentandola semplicemente come una english folk song, accompagnato da tutto il pubblico.
La Principessa, fan di Costello, cercò di inquadrarlo con un piccolo binocolo da teatro e girandolo alla sua destra controllò i movimenti nel palco delle autorità, palco adiacente al loro… il palco Reale. Nuovi video da JFK con The Hooters e Opus dall’Austria, Nik Kershaw di nuovo da Londra… E Diana la vide… era sempre lei, la sua nemica numero uno, la donna che da sempre aveva stregato il cuore del suo ”uomo”.
Poi filmati di The Four Tops da Philadelfia e la sontuosa apparizione di B.B. King dall’Olanda. Sade Adu portò lo stadio di Wembley sulle suadenti note di Your Love Is King, canzone al primo posto nelle classifiche anglosassoni.
La Principessa si arrovellava chiedendosi se Carlo l’avesse mai amata: il glaciale figlio di The Queen, nel senso della Real Elisabetta, sino a quel momento aveva pronunciato solamente una volta la frase “TI AMO”, ma dopo anni di frequentazione e in un posto assai insolito: nel bel mezzo del deserto australiano, a un mese dalla nascita del primogenito William.
Billy Ocean da Philadelfia, seppur un mito, quasi scomparve per la reunion dei Black Sabbath, con Ozzy Osbourne alla voce, che fecero tre pezzi cardine della loro carriera: Paranoid, Children of the Grave e Iron Man. Dopo un’esibizione video da Belgrado dei Yu Rock Mission, JFK esplose al rap dei Run-DMC. Sting con Branford Marsalis e Phil Collins ricondusse Londra sui suoni classici del jazz-pop. Dopo le melodie del cantautore australiano Rick Springfield, JFK ritornò al rock americano con i REO Speedwagon.
Il concerto non dava respiro, continuava incalzante, tanto che AL allarmava continuamente i suoi collaboratori, tenendoli sul filo del rasoio soprattutto ad ogni cambio di artista. Da Mosca l’esibizione video degli Autograph passò quasi inosservata, sebbene la band hard rock ce l’avesse messa proprio tutta. Dopo l’apparizione di Howard Jones che giocava in casa, il pubblico nuovamente esplose sulle canzoni di Bryan Ferry, con David Gilmour dei Pink Floyd alla chitarra: Sensation, Boys and Girls, Slave to Love, Jealous Guy erano l’espressione del glam rock evoluto verso un pop raffinato segnato dal dandismo.
Lo sguardo impassibile del principe Carlo nascondeva la passione e l’attesa per il dopo concerto. Tutti i suoi pensieri erano per Camilla, il cui amore non è stato mai messo in dubbio. Non gli era neanche interessato quando la sua novella sposa gli aveva trovato, giusto un paio di giorni prima delle nozze, i gemelli destinati alla sua amante con le iniziali incise “G” e “F”, “Gladys” e “Fred”, vale a dire i soprannomi usati nell’intimità.
A David Crosby fu permesso di salire sul palco del JFK con Stephen Stills e Graham Nash, pur essendo uscito da poco dal carcere su cauzione, accusato per una vicenda di droga e possesso di armi. Il mitico gruppo della West Coast sorprese il pubblico di Philadelfia, annunciando la probabile riunione con Neil Young. Dopodiché arrivò l’hard rock dei potenti Judad Priest, seguito dal filmato di Udo Lindenberg da Colonia. Paul Young improvvisò l’inizio della famosa Do They Know It’s Christmas? anche se era il 13 luglio, mentre con Alison Moyet interpretò un classico del repertorio soul, That’s The Way Love Is… Dopo il filmato dell’energico Bryan Adams da JFK, sul palco di Wembley salirono gli U2, il nuovo fenomeno del rock. Suscitarono nel popolo londinese una grande emozione quando il cantante Bono Vox fece salire sul palco una ragazza del pubblico per ballare, stretta a lui, sulle note di Bad, con frammenti di Satellite of Love e Walk on the Wild Side di Lou Reed e Sympathy for the Devil e Ruby Tuesday dei Rolling Stones.
Diana era venuta a conoscenza, tramite i conoscenti della famiglia Spencer, di alcune dichiarazioni fatte da Carlo ai suoi amici ad una partita di polo. «Mi sto sentendo in colpa per averla catapultata in un mondo che probabilmente non è il suo, costringendola ad una vita che difficilmente riesce a gestire».
I Dire Straits si presentarono con Money for Nothing assieme a Sting, mentre a Phila, dopo i mitici Beach Boys, un supergruppo formato da George Thorogood and the Destroyers, Bo Diddley e Albert Collins deliziò la platea con alcuni pezzi di blues rock. I comici Mel Smith e Griff Rhys Jones vestiti da Bobbies introdussero la band che esaltò maggiormente il popolo di Londra, i Queen… L’istrionismo di Freddie Mercury trascinò l’intero stadio di Wembley, battendo le mani a tempo su Radio Ga Ga e cantato parola per parola Bohemian Rhapsody, We Will Rock You e We Are the Champions. In seguito si scoprì che il loro ingegnere del suono aveva modificato i livelli nella postazione di regia. Elton John in un’intervista dichiarò: «Freddie Mercury ha rubato la scena a tutti».
AL iniziò con gli agenti il trasbordo dei Principi verso le salette interne com’era da programma. Il sole tramontava e da lì ad alcuni minuti si sarebbero accese le luci dello stadio. Nella camera blindata non mancava nulla: AL aveva ricevuto dal capo di Scotland Yard un elenco degli ospiti che potevano usufruire al sicuro, dagli schermi interni, la visione dello spettacolo. Un ricco buffet era approntato per l’occasione, quando vicino al tavolo delle bevande notò una presenza sgradita alla Principessa Diana: era Camilla Parker Bowles, da tutti conosciuta come la prediletta del Principe Charles. Lady D. ebbe un mancamento e dopo aver vomitato svenne ai piedi di due camerieri. Improvvisamente tutti si allertarono e poco dopo la Principessa veniva portata fuori dello stadio dalla sicurezza e dai paramedici del St. Mary’s Hospital. Charles rimase.
I Simple Minds si esibivano al JFK mentre a Londra saliva sul palco il Duca Bianco: David Bowie, con l’aiuto di Thomas Dolby alle tastiere, dedicò Heroes al suo giovane figlio e a tutti i figli del mondo. Darcey, che fino allora era rimasta nel back stage del concerto, si concedeva ogni tanto una sbirciata dietro le quinte del palco, il suo pass-totale gli permetteva di scorrazzare a suo piacimento. Si posizionò in un angolo per godersi Roger Daltrey che con The Who aspettava impaziente di entrare. The Pretenders iniziavano la loro performance a Philadelfia, quando sulle note di My Generation il pubblico del Wembley Stadium andò letteralmente in delirio per la band originaria di Londra, The Who, capofila dei mods e una delle migliori band dal vivo del globo… Hope I die before I get old, come cantavano nei primi pezzi dal 1965. A Philadelfia iniziava a suonare il mitico Santana con una superband della quale faceva parte anche Pat Metheny. A Londra il popolo del Wembley Stadium si deliziava sulle note di Elton John in duetto con Kiki Dee. Gli Wham di George Michael incassavano un’ovazione dietro l’altra.
AL, autorizzato dal capo di Scotland Yard, scortò Lady Diana verso il St. Mary’s Hospital a Paddington, non molto distante dalla residenza reale di Kensington Palace, seguendo sempre le vicende dello stadio con un walkie-talkie collegato con i suoi collaboratori. Appena si riprese, la Principessa esternò, in una camera in osservazione, sola con AL e un’inserviente, tutto il suo disappunto. «Ritorno a casa mia dai miei figli! Non ne posso più di quella donna! Anche agli eventi mondani! Non gli basta averla nella sua alcova! Son of bitch!». Dall’esternazione AL non capì se il turpiloquio era riferito a Camilla o a Charles. Certo se era riferito al Principe di Galles la questione si faceva seria!
Dallo Stadio JFK Ashford and Simpson con Teddy Pendergrass, che si esibì per la prima volta in pubblico dopo il grave incidente automobilistico che lo relegava sulla sedia a rotelle. Fecero da apripista a Bette Midler che, affermando “She’s great, she’s hot, she’s Like a Virgin…”, presentò la cantante emergente dell’anno: Madonna, idolatrata dai teenager di tutto il mondo. Diana dall’Ospedale: «Volevo vedere la performace di Madonna, me la sono persa, ma le telefonerò, voglio invitarla in Inghilterra, mi è simpatica, sono una sua fan!». Freddie Mercury riapparve sul palco con un’ovazione straordinaria… dopo poco lo affiancò Brian May alla chitarra acustica, eseguendo un brano recente che sembrava scritto per l’occasione.
Guarda solo tutte queste bocche affamate che dobbiamo sfamare. Dai un’occhiata a tutta la sofferenza che portiamo. Così tante facce solitarie sparse tutte intorno. Che cercano quello che gli serve. È questo il mondo che abbiamo creato? Cosa abbiamo fatto per questo. È questo il mondo che abbiamo invaso. Contro la legge. Quindi sembra la fine. È questo tutto quello per cui stiamo vivendo oggi? Il mondo che abbiamo creato. Sai che ogni giorno nasce un bambino indifeso. Che ha bisogno di amore dentro una casa felice. Da qualche parte un uomo benestante è seduto sul suo trono. In attesa che la vita continui. Wooh, è questo il mondo che abbiamo creato. È diventato tutto nostro. È questo il mondo che abbiamo disastrato, fino all’osso. Se c’è un dio nel cielo che guarda giù. Cosa può pensare di quello che abbiamo fatto al mondo che ha creato.
Il pubblico in visibilio aumentò le grida e gli applausi vedendo sul palco, dopo un attimo di buio, Paul McCartney intonare Let It Be al piano. L’ex-beatle non si esibiva dal vivo da parecchi anni e aveva ricevuto il rifiuto della riunione sul palco di Ringo Starr e George Harrison. Iniziando la canzone non si accorse che per quasi due minuti il suo microfono non funzionava, anche perché i 70.000 del Wembley Stadium cantavano all’unisono… Quando iniziò la voce di Paul, si sentì anche il coro d’eccezione formato da David Bowie, Bob Geldof, Alison Moyet e Pete Townshend. Alla fine dell’esecuzione, quasi tutti i partecipanti al mega concerto di Wembley apparvero sul palco. Sotto la direzione di Bob Geldof intonarono Do They Know It’s Christmas? e chiusero le trasmissioni da Londra. Tom Petty nel frattempo dal JFK Stadium iniziava la sua performance con i suoi Heartbreakers, seguiti da Kenny Loggins e da The Cars. Neil Young, dopo le notizie del ricongiungimento del supergruppo californiano, apparve solo sul palco cantando cinque canzoni. I Power Station dopo una cover dei T-Rex aprirono la strada ai Thompson Twins, che fecero un pezzo da soli e poi accompagnati da Nile Rodgers e Madonna, quindi di nuovo sul palco. Eric Clapton, con alla batteria Phil Collins arrivato con un Concorde direttamente da Wembley via Heathrow e New York, ritornò al classico con un pezzo dei Cream e con Layla dei Derek and The Dominos.
Phil Collins al pianoforte prima della canzone In The Air Tonight esclamò: «Che strano il mondo, è proprio buffo, tre ore fa ero a Londra e adesso sono qui allo stesso concerto Live Aid… ma in America». Il batterista sul Concorde trovò a bordo Cher, che non sapeva nulla del concerto in corso. Senza troppi indugi fu convinta a seguirlo e la cantante californiana volle cantare alla fine nel coro di We are the World assieme a tutti gli artisti. La performance dei Led Zeppelin, con Phil Collins e Tony Thompson – alle batterie per sostituire il loro batterista storico John “Bonzo” Bonham – per volere del gruppo non venne registrata: non tanto per rispetto all’amico scomparso, quanto per un’esibizione non all’altezza della loro fama. Finalmente annunciati da Jack Nicholson, Crosby, Stills, Nash & Young salirono sul palco acclamati da tutto lo stadio, deliziandolo con Only Love Can Break Your Heart.
Nella notte di Phila, mentre i Duran Duran si esibivano, a Wembley gli schermi giganti erano collegati con gli States, come nella camera blindata dove gli ospiti di riguardo del Principe Carlo si rifocillavano al sontuoso buffet. Lady Diana era stata accompagnata da AL a Kensington House con la Bentley Limousine, mentre Carlo sarebbe tornato con i militari. «Vedrà! Quello non torna stanotte! Andrà a casa di quella donna!». AL chiese il permesso, concesso dalla Principessa, di tornare allo stadio.
Cliff Richard dal vivo alla BBC cantò una breve canzone, mentre Patti LaBelle urlò le sue per ben venti minuti. Seguì un supergruppo con Hall & Oates, G.E. Smith del Saturday Night Live alla chitarra, Eddie Kendricks e David Ruffin. Introdussero Mick Jagger, che fece un duetto al cardiopalmo con Tina Turner, in una super-hot, It’s Only Rock ‘n Roll… but I Like It! Bob Dylan, nella sua apparizione in pubblico dopo lunghissimo tempo, affiancato da due chitarristi d’eccezione come Keith Richards e Ron Wood dei Rolling Stones, prima di chiudere il concerto cercò di fare un comunicato a favore degli agricoltori americani, ma non si capì molto dato che i tre, prima dell’esibizione avevano fatto bisboccia nel camper a loro destinato, a base di Jack Daniels e stupefacenti. Come a Wembley, il concerto terminò con il coro di quasi tutti i partecipanti a intonare We Are the World per USA for Africa, diretti da Lionel Richie. AL arrivò a Wembley mentre il popolo della notte se ne stava andando. Sugli schermi giganti stavano passando ancora i due cori di fine concerto.
Il servizio d’ordine, come già comunicato via radio, stava radunando le autorità per scortarle alle proprie residenze. Il Principe Charles era già sparito, probabilmente con la sua amante. «Ragazzi, non posso lasciarvi un momento…». «Signor Lunardini, ordini superiori, tutto sotto controllo…».
Finito il concerto, un party blindato continuava al London Hippodrome di Leicester Square con numerosi artisti del concerto, manager, impresari musicali, groupies e numerose guardie del corpo. All’esterno una miriade di fans aspettavano i loro idoli. Nella discoteca si discuteva della mancata partecipazione di Stevie Wonder e Michael Jackson, quando AL, che si era imbucato per rilassarsi e bere qualche cocktail con Darcey dopo le ultime fatiche, venne richiamato all’ordine dalla sicurezza, dovendo immediatamente e nuovamente presentarsi a Kensington House. Nell’area solitamente blindata dalle forze speciali, essendo la residenza ufficiale dei Reali, aleggiava una frenesia di mezzi militari, lampeggianti e uomini circondavano il parco. AL fu condotto nella hall del maniero e il capo dei servizi di sicurezza lo mise al corrente di quello che era successo nelle ultime ore.
«La Principessa Diana è scomparsa, volatilizzata… la tata con i piccoli è sempre rimasta al suo posto, Scotland Yard è già qui con i servizi segreti». «Ma va’? E c’è anche Bond… James Bond?». «Ma non faccia il cretino, piuttosto lei è stato uno delle ultime persone che ha parlato con la Principessa Diana, come l’ha trovata? Era turbata? Cosa le ha detto quando vi siete lasciati?». «Sicuramente era arrabbiata, anzi più che altro delusa.» «Delusa? E per quale motivo?». «Secondo me, ne sapete più voi: io sono solo un povero detective italiano, calato per caso in questa favola. Il mio sentore è che suo marito questa sera non si è comportato molto bene». Il capo della sicurezza ordinò ad AL di non rilasciare nessuna dichiarazione e di rimanere a disposizione, perché il Principe Charles aveva richiesto un appuntamento privato il mattino seguente a Kensington Palace.
La Principessa Diana in gran segreto stava volando su un Bombardier Challanger CL-600, jet di lusso privato degli Dawlat al-Imārāt al-Arabiyya al-Muttahida, lo Stato degli Emirati Arabi Uniti. Il potente emiro Mohammed bin Ibn Saʿūd aveva da tempo, nella residenza di Park Lane, accolto le lagnanze della Principessa e si era messo umilmente a disposizione, qualora Lady Diana avesse, anche per “breve” tempo, espresso il desiderio di vivere l’atmosfera della festa nazionale degli Emirati Arabi in Riyad. Il problema si era presentato arduo, dato che la Principessa avrebbe dovuto aspettare la bellezza di una settantina di giorni prima della data del 23 settembre. L’emiro, uomo del valore di 9 miliardi di dollari, aveva messo a disposizione tutto il suo staff e una cospicua somma per le spese di prima necessità: 45 milioni di dollari! Un altro jet privato il giorno seguente aveva trasvolato una parte della servitù reale, compresa la tata con i piccoli William e Henry. Iniziava così “la vacanza” proibita di Lady Diana e dei bimbi, osteggiata da Charles e soprattutto dalla Reale madre. Il ministero degli affari esteri, a nome del ministro Anthony Crosland, avviò prontamente un rapporto ufficiale con la conseguente e probabile crisi diplomatica. Si chiedeva la restituzione, a nome del Principe di Galles, di sua moglie e soprattutto dei suoi figli.
AL dopo l’appuntamento a Kensington Palace fu invitato a fare un sopralluogo riservato a Riyad, per capire le intenzioni dell’Emiro e la disponibilità della Principessa a rientrare prontamente nel Regno Unito. Rientrando nell’appartamento di North Rowe, Darcey accolse AL preoccupata per le notizie che erano in prima pagina su tutti i quotidiani del Regno Unito. «Cosa ti hanno detto nell’incontro di oggi? Secondo me la Principessa se n’è andata di sua iniziativa, ma nei giornali la stampa è di parte, addirittura parlano di sequestro!». «Le notizie non sono buone, vogliono che parta oggi stesso per l’Arabia Saudita, ma veramente anche se la diaria è interessante il rischio è enorme: in quella zona la vita non vale un fico secco, soprattutto se ci sono in ballo degli emiri pieni di soldi. Ho sentito dire che l’ammontare della rendita annua del primo ministro saudita è pari a un’ingente finanziaria di uno stato europeo. E non parlo dell’Italia, ma di paesi come Regno Unito, Germania, Francia». «E allora cosa intendi fare?». «Non lo so, la notte porterà consiglio, domattina dovrò dare una risposta definitiva». «E allora vieni qui… bel fanciot! Che in anteprima vorrei farti vedere un nuovo numero, devi darmi un giudizio spassionato!».
La mattina successiva, dopo una notte di fuoco, AL, ancora un po’ frastornato, cercava di rimettersi in sesto grazie a un abbondante classico breakfast all’inglese, con un extra di salsiccie, champignon e roastbeef. Mentre Darcey sorbiva uno yogurt biologico con un succo naturale, il detective ci dava dentro con il caffè nero. «Sono ancora indeciso, metti che vada qualcosa storto: a parte lasciarci le piume, se la Principessa non volesse tornare ci farei una figura di mer…, d’altra parte i servizi segreti di Sua Maestà hanno fior fiori di agenti molto più qualificati». «È vero, ma se la riesci a convincere e non ti fai ammazzare, con il gruzzolo che ti hanno promesso potremmo comprarci una casa più grande qui a Londra oppure farci un viaggio “tipo di nozze” di almeno tre anni!». «Sì! Come il conte Mascetti con un orso bruno al guinzaglio! Intanto chi rischia la pelle sono IO!!!». «Potrei venire anch’io, chiedi a quelli di Scotland Yard il permesso di accompagnarti, daremmo meno nell’occhio e poi ormai ho acquisito una certa confidenza con Lady D.: potrei convincerla io a tornare!».
Nel pomeriggio, dopo l’autorizzazione del primo ministro, sponsorizzato dal Principe di Galles, i due novelli agenti segreti al servizio di Sua Maestà britannica si alzarono in volo dalla base militare di Northwood Headquarters, a pochi chilometri da Londra, su un elicottero AW109 Augusta Westland della RAF, la mitica Royal Air Force, destinazione Akrotiri, una delle due basi militari britanniche sull’isola di Cipro. Alzandosi in volo, Darcey, per la prima volta su un elicottero, osservava dall’alto. «Guarda caro si vede la casa della mia amica che abita a Watford!». AL era sopra pensiero e non si curò delle parole della sua fidanzata, nonché collega per la prima volta in una missione così delicata. Pensava alla tranquillità della campagna inglese, sorvolandola con il potente AW109 e ricordandosi quando da ragazzo, per la prima volta in Inghilterra, era approdato in quel di Caversham Bridge, alla periferia di Reading, senza sapere una parola in inglese ma con una signorina che gli faceva da interprete e non solo. «Ma mi stai a sentire? Sei sulle nuvole?». «No miss… we are still under the clouds!». Il pilota rispose prontamente: «Mind your own businnes, it’s between us!». «Ci mancava che si intromettesse anche il pilota… pensa a guidare! E tu sveglia! Piuttosto il vestiario in dotazione è solo questa mimetica o ci daranno anche dei vestiti civili e adeguati? Io non vado in giro come un parà, ho la mia reputazione!».
AL non sentiva neanche una parola della sua ansiosa fidanzata, piuttosto pensava al piano che Scotland Yard gli aveva sottoposto. Non condivideva alcuni aspetti della missione, in particolare di non poter agire indipendentemente. In primis, la preoccupazione di dover proteggere la sua fidanzata. Aveva osteggiato a lungo la sua partecipazione, in seguito il monitoraggio continuo delle squadre speciali, sempre all’erta per poter intervenire, in caso di eventuale pericolo, con una prova di forza, per l’incolumità della Principessa e la riuscita della missione in modo “diplomatico”. AL, con la massima segretezza, aveva ingaggiato, come partner nella delicata trattativa, un amico di lunga data, italiano, ma che già da molto tempo si era convertito all’Islam. Hamed avrebbe dovuto raggiungerlo nel paesino di Hadda, sulla via che da Gedda porta a La Mecca, dove l’amico avrebbe incontrato un emissario governativo, il mediatore, per l’appuntamento a Riyad con il vice ministro saudita. «as-salaam ‘alaykum». «wa ‘alaykum as-salaam». Hamed con le sue entrature riuscì, attraverso il viceministro, ad avere un’udienza con il potente emiro Mohammed bin Ibn Saʿūd.
Diciamo che passare il periodo di vacanza all’interno di una dimora da 280 milioni di dollari dovrebbe essere alquanto piacevole. È anche bello e giusto, talvolta, lasciare che anche gli occhi e la mente abbiano la loro dose di bellezza da contemplare. Che sia nell’arte, nella natura, nell’architettura o in qualsiasi altra cosa, non importa. La bellezza è fatta per essere ammirata. La dimostrazione è che la dimora dell’Emiro è considerata la casa più costosa al mondo. Acquistata, in incognito, attraverso società che avrebbero dovuto tenere nascosto il suo nome. Così non è stato e dopo molto investigare si è potuti risalire al proprietario. Se rassicura saperlo, quei soldi non erano i risparmi di una vita. Tanto per intenderci, il principe aveva fatto un’offerta, poi rifiutata, per comprare il Manchester United. Non riuscendoci, aveva usato i soldi per comprare casa.
La “casa” aveva lo stile di un castello del XVII secolo francese, ma è stato costruito tra il 1980 ed il 1984, vicino ad Abu Dhabi. All’interno della proprietà si trovava di tutto e di più. Ma tra gli angoli più belli spiccava la sala di meditazione e da relax, immersa in una vasca con pesci che ruotano tutti attorno. Marmo di Carrara ovunque. Decorazioni dorate sulle scale e sulle porte. Dieci camere da letto e 13 bagni. Una libreria con migliaia di testi antichi e di altissimo valore, oltre ad una cantina che può contenere sino a 13.000 bottiglie di vino. Piscina interna e piscina esterna, sala cinema, campo da squash, un nightclub e due sale da ballo. Solo per completezza di informazione, il principe aveva acquistato uno yacht di 134 metri per circa 500 milioni di dollari, per metterci a bordo un quadro di Leonardo da Vinci comprato per 400 milioni di dollari.
Lady Diana e i bambini si divertivano in piscina, sorvegliati discretamente dalla security dell’Emiro. Hamed era riuscito a farsi accompagnare da AL e Darcey presentandoli come artigiani di un laboratorio orafo di Valenza Po, paese già conosciuto dall’emiro dove aveva commissionato, anni prima, una palma d’argento a dimensioni naturali con datteri d’oro. «أهلاً بك في بيتي المتواضع Benvenuti nella mia umile casa. Scusate ma in questo momento ho pochi istanti da dedicarvi, i miei illustri ospiti hanno priorità massima e quindi vi concedo un’udienza di “two minutes”».
Improvvisamente e imprevedibilmente, a questo punto AL scattò con un balzo felino. Sfoderò, rubando, la jambiya – il coltello – dalla guaina decorata in diamanti, indossata al fianco dell’incredulo Emiro. Minacciandolo alla gola e gridando, allarmò l’esterrefatta Darcey, Hamed e tutta la security del palazzo. «L’ammazzo!! Nessuno si avvicini!!!». Darcey comprese che l’azione non coordinata del suo compagno sarebbe stata deleteria e preso un pesante candelabro, lo colpì con delicatezza, tanto da farlo stramazzare esanime sul pavimento di marmo di Carrara.
«Miss, is beauty equalled only by your determination! Mi ha salvato la vita! Mi chieda quello che vuole!». L’Emiro si inchinò al cospetto di Darcey e rifilò un leggero calcetto allo svenuto detective. Prontamente la ballerina fermò la security che stava agguantando AL. «Sua Altezza mi perdoni, dimentichi l’affronto del mio compagno, lo metta a riposare, congedi il suo suddito e accolga le mie parole, le potrò spiegare…». L’Emiro ordinò di portare AL in una delle suite, in ogni caso legato come un salame e controllato a vista. E innamorato già di Darcey, la invitò nella sala degustazione adiacente alla cantina degli champagne. «Sono sicuro che davanti a una coppa di un Krug millesimato si discuta meglio!». «Sono sicura anch’io!».
L’Emiro non avrebbe mai immaginato di trovarsi di fronte a una persona allenata alla bevuta come Darcey. Così, alla quarta bottiglia di Clos du Mesnil 1966: «Devo dire che… hic, signorina si… hic, è scolata 10.000 dollari di… hic, champagne senza fare una piega…». «Altezza, se mi fossi scolata un vino normale non mi sarebbe bastato tutto il giorno, ma quattro bottigliette e per di più in due…». «Ma… hic, non abbiamo… hic, mangiato che qualche… hic, cucchiaiata di… hic Caviar Beluga». «Ma fa venir sete, che ne direbbe di passare al rosso?». «No… No… hic… mi dica il suo desiderio e… hic… io vado a dormire!». Dato che l’Alticcio era altezza, cioè il contrario, l’Altezza era alticcio… Darcey approfittò di farsi vergare le sue richieste immediatamente e farle eseguire dai suoi sudditi, mentre l’Emiro sveniva.
Lo stesso jet di lusso, il Bombardier Challanger CL-600, in serata atterrò al London City Airport, nel West-End. La comitiva comprendeva Darcey, l’ancora svenuto AL e tutta l’allegra compagnia principesca: Lady Diana, i bimbi, la tata e la servitù. Darcey questa volta aveva preso le redini in mano e aveva risolto la disputa internazionale salvando capra e cavoli. La situazione della famiglia reale era compromessa, ma la Principessa aveva ottenuto che i suoi figlioli fossero seguiti da un tutor scelto dalla famiglia Spencer.
Sulla costiera amalfitana e precisamente nella piazza del Duomo di Ravello, si aggirava AL con al guinzaglio un orso bruno marsicano. «E allora la vuoi fare sta pipì o ti devo portare a mare?».